Pala di San Bernardino

Chiesa parrocchiale di santa maria assunta di endenna

Autore : Giovanni Antonio da Pesaro

Non è noto quando il dipinto sia arrivato a Endenna. Non è citato nella visita pastorale di San Carlo Borromeo e neppure nelle frequenti ma sintetiche visite del secolo successivo.

La prima menzione che fino ad ora è stata rintracciata (ma non è stato possibile uno spoglio completo della documentazione) è quella del corrispondente di padre Donato Calvi che cita nell’oratorio del cimitero della parrocchiale “un quadro ancona dell’effigie intera di san Bernardino da Siena, di pittura tanto al vivo che rende maraviglia a chiunque lo vede”.

Lo stesso Calvi nell’Effemeride sagro profana del 1676, ne precisa ulteriormente la collocazione ricordando “nella porta sopra il cimiterio l’effige al vivo di San Bernardino da Siena”.

L’oratorio, dedicato a san Bernardino, all’epoca di san Carlo voltato e aperto, era posto accanto alla chiesa antica. Esso può essere identificato col vano a sinistra dell’attuale presbiterio e collegato all’antico campanile mediante il ripostiglio realizzato tra 1845 e il 1853.

Da lì la nostra ancona fu trasportata in chiesa, nella collocazione che ha ancora oggi, probabilmente alla fine dell’Ottocento, dopo la radicale ristrutturazione in stile neoclassico dell’edificio.

La stesura pittorica trasparente, a fitte pennellate che si ispessiscono nei dettagli naturalistici come la barba, la scioltezza dei profili, sistematicamente ripresi in nero ed in bruno, ci parlano di un maestro dal mestiere consumato.

Un marchigiano in Val Brembana, con una certa sorpresa questi può essere identificato in Giovanni Antonio da Pesaro, come indica Andrea De Marchi.

Giovanni Antonio da Pesaro è nato nel 1415 da un pittore di origine parmense trasferitosi a Pesaro, nella cui area abbiamo le testimonianze più antiche della sua attività, si formò nel multiforme ambiente adriatico che faceva perno su quell’autentico crocevia di culture che fu Ancona.

La nostra conoscenza della immensa varietà di suppellettili create dalle necessità liturgiche e delle devozioni cattoliche si è tanto ristretta che talvolta, davanti a manufatti del passato, si resta privi dei termini per definirli. Lo testimonia l’imbarazzo dei pochi studiosi che, a partire dall’inizio del Novecento, si sono occupati del San Bernardino di Endenna, chiamandolo, di volta in volta, “trittico” o “tabernacolo”.

Non è né l’uno né l’altro. Limitandoci ad una descrizione oggettiva vediamo una scatola lignea, una sorta di armadio a due ante, che racchiude, come una gioia, una tavola lunga e stretta dal profilo mistilineo, conclusa da colonnine tortili che reggono due pinnacoli ed arricchita da foglie pampinose.

Descrizione dell'opera

 Su di un fondo aureo granito che simula un damasco a gigli vi campeggia san Bernardino da Siena.

Con la destra indica il trigramma con il nome di Gesù- in minuscola gotica e con l’asta della h trasformata nel braccio verticale di un Crocefisso in miniatura- entro il sole raggiante che è collocato nella cuspide.

Essa è sovrastata da un tabellone a vento ove è dipinto un volto che il nimbo crocesignato e la scritta ci farebbero supporre essere Cristo ma che capelli e barba grigi assimilano piuttosto all’iconografia di Dio Padre.

La cassa è interamente dipinta, all’esterno con semplici campiture rosse, molto usurate, sulle quali si intravvedono decori floreali bianchi ottenuti con mascherine.

Al centro delle ante rimangono due cerchi bianchi, in origine profilati, sui quali si staglia un simbolo cruciforme affiancato dalle lettere AP e SP.

All’interno invece vediamo su due registri l’angelo annunziante e sant’Antonio abate a sinistra, la Vergine annunziata e san Sebastiano a destra. Il fondo che accoglie il san Bernardino allude ad un cielo blu trapunto di stelle.

Considerata la proporzione della tavola centrale, 232 × 80 cm, è difficile che essa fosse destinata ad un altare, si tratta piuttosto di una ancona da pilastro che ha miracolosamente mantenuta pressoché intatta la sua capsa lignea, che serviva da protezione e che veniva aperta solo durante le celebrazioni o le solennità.

Le capse sono citate di frequente nei contratti o nelle visite pastorali ma ne sopravvivono rarissimi esemplari: considerato il loro scopo soprattutto funzionale erano spesso di fattura meno raffinata , talvolta assegnate a artisti diversi dagli autori della tavola principale, e sono state tra i primi elementi ad essere dispersi mano a mano che le necessità del culto modificarono gli spazi delle chiese e l’ingombro degli altari.

È chiara dunque l’importanza di questo pezzo, che di manomissioni ne ha subite pochissime. Esso conserva tracce materiali impagabili, ma anche dati immateriali di estrema importanza per lo studio della tipologia, come ad esempio il diverso registro, linguistico e tecnico, tenuto dal pittore, che in questo caso è lo stesso, nel dipingere l’immagine principale e le parti accessorie del contenitore.

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